Il Giornale - Elena Franzoia | 29 settembre 2023 | Londra

«The Credit Suisse Exhibition: Frans Hals» è la grande mostra che dal 30 settembre al 21 gennaio 2024 la National Gallery dedica, a cura di Bart Cornelis e con sponsorizzazione della banca svizzera, al maestro olandese (1582-1666) assente da oltre trent’anni dalla scena espositiva londinese. Organizzata in collaborazione con il Rijksmuseum di Amsterdam e la Gemäldegalerie di Berlino, musei in cui sarà visitabile nel corso del 2024 con differenti declinazioni curatoriali, la mostra propone circa 50 capolavori provenienti da musei e collezioni private di tutto il mondo.

Tra i prestiti eccezionali spicca «Il cavaliere che ride» della Wallace Collection, che si sposta per la prima volta dal 1870. Abbiamo intervistato Bart Cornelis, già curatore dei Dipinti olandesi e fiamminghi alla National Gallery di Londra.

Che cosa è stato per Hals il tema del ritratto psicologico? La grande novità introdotta da Hals è la capacità di infondere straordinari vivacità e movimento, tanto da avere la sensazione di trovarci di fronte a delle istantanee fotografiche. Hals riporta letteralmente in vita i suoi personaggi con il pennello, caratteristica che perfino i contemporanei gli riconoscevano.

Dipingeva molto in fretta, direttamente su tela o tavola, e la sua tecnica a pennellata libera gli consentiva di cogliere non solo la verosimiglianza fisica, ma anche l’atteggiamento delle persone. L’intero comportamento, la posa appaiono estremamente naturali anche se è piuttosto difficile oggi capire esattamente il suo metodo, abituati come siamo alla fotografia.

Qualche esempio?

Un’opera molto significativa è il «Doppio ritratto di Isaac Massa e di sua moglie Beatrix van der Laen» oggi al Rijksmuseum. Basta notare il sorriso vittorioso con cui lei guarda lo spettatore e la disinvoltura con cui appoggia il braccio sulla spalla del marito, in una maniera così spontanea e «casuale» mai vista prima. Un’altra cosa che Hals faceva sorprendentemente bene, e che è stato il primo a fare in modo sistematico, era infatti ritrarre persone che ridono o sorridono, nonostante sia estremamente difficile.

È poi interessante notare come l’artista riesca a costruire un’interazione anche quando i due ritratti sono dipinti su tele separate. Un esempio è il «Ritratto di Michiel de Wael» e il «Ritratto di Cunera van Baersdorp», sua moglie, oggi in collezioni differenti (uno al Taft Museum of Art di Cincinnati, l’altro in collezione privata) ma esposte insieme a Londra.

Soprattutto nel caso di lei si tratta di uno splendido esempio di «ritratto in posa», che esprime con grande eleganza una posizione di potere sociale. Un caso a parte è invece la «Malle Babbe» della Gemäldegalerie di Berlino, uno sconcertante «ritratto della follia». Hals è attratto da questo tema perché desidera capire che cosa riesce a convogliare sulla tela dell’espressione di una persona con problemi mentali.

Spesso poi Hals dipinge «tipi», quadri di genere, in cui la stessa innocenza è sospetta in quanto abbiamo l’evidenza documentaria che non siano veri ritratti. Come nel caso del «Pescatore» di Anversa, sono in ogni caso opere realizzate con modelli dal vero, funzionali a una visione idealizzata della vita rurale.

Perché Frans Hals è stato in passato così a lungo trascurato?

Hals in vita è stato un pittore piuttosto famoso, che ha ricevuto numerose commissioni dipingendo in modo sempre più rapido e sintetico. Ma poco dopo la sua morte, nel 1666, il gusto cambiò e la gente cominciò a preferire ritratti più idealizzati, pacati, dagli abiti più sontuosi.

Nel Settecento non venne completamente dimenticato, ma certo non era in sintonia con il gusto del tempo. Per la sua riscoperta bisogna aspettare la seconda metà dell’Ottocento da parte dello storico dell’arte francese, Théophile Thoré, al quale dobbiamo anche la riscoperta di Vermeer.

Trasferendosi dalla Francia ai Paesi Bassi, Thoré dedicò grande attenzione anche all’incredibile arte di Hals, che come Vermeer venne poi riconosciuto un precursore dell’Impressionismo per la pennellata rapida e sintetica. Lo stesso è accaduto nel tardo XX secolo, quando Rembrandt, Hals e Vermeer sono stati definitivamente consacrati nella top ten dell’arte olandese del Secolo d’Oro.

Quali sono gli obiettivi della mostra?

Il mestiere di ritrattista è sempre esistito, perché le persone desiderano essere ricordate e commemorate, ma è con Hals, Rembrandt e Velázquez che il ritratto diventa vera arte. Quindi vorremmo che i visitatori lasciassero la mostra con l’idea di come un genere pittorico «funzionale» sia assurto a un gradino più alto.

In mostra sono poi presenti alcune nostre importanti scoperte, come ad esempio in un «Ritratto di Isaac Massa», amico di famiglia di Hals che lo ritrasse quattro volte. Grazie al restauro abbiamo potuto rinvenire attraverso la riflettografia altri dettagli sullo sfondo chiesti dallo stesso Massa, alcuni sconcertanti come un teschio.